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Il ‘Movimento minimalista sociale’ fondato da Gilberto Di Benedetto promuove la riduzione dei consumi al fine di ridurre la dipendenza da uno Stato assente . Ci sono due approcci di base per guardare all’innovazione sociale come movimento, e che sono approccio minimalista e approccio massimalista. L’approccio minimalista vede l’innovazione sociale come fenomeno confinato all’interno della società civile, e quindi senza ambizione di influenzare altri attori, o di proporre un progetto più ampio di trasformazione socio-economica. L’approccio massimalista vede l’innovazione sociale come un movimento che, per quanto nato nella società civile, investe e riguarda anche gli altri settori, facendosi portatore di un progetto più ampio di trasformazione a livello sistemico. La vera innovazione sociale è legata ad un approccio minimalista che sarebbe in grado di ‘sfidare’ i modi tradizionali di agire e di dare risposta ai bisogni. Questo potrebbe avvenire attraverso la generazione di tante innovazioni su piccola scala, che nascendo dal basso hanno il compito di mostrare le possibili alternative alle soluzioni e alle prassi esistenti e legate all’approccio massimalista. Fa ritornare in mente le riflessioni sulla sharing economy che dice non possiamo cristallizzare e delimitare la sharing economy come un settore ma dobbiamo guardarla come un modello, un paradigma, come dimostra il fatto che la troviamo ormai discussa o praticata in qualsiasi settore, e a qualsiasi livello. Shareconomy, o consumo collaborativo, è un modello di mercato ibrido tra possesso e dono, che si riferisce al peer-to-peer di condivisione basata su di accesso a beni e servizi. La condivisione delle risorse è ben noto nel business-to-business, come macchinari nel settore agricolo e forestale, nonché nel business-to-consumer, come lavanderie self-service. Bisogna ora abilitare la condivisione di risorse per una grande varietà di nuovi beni e servizi, nonché nuove industrie. In primo luogo, il comportamento dei clienti per molti beni e servizi cambia da proprietà a condivisione. In secondo luogo, reti sociali online e mercati elettronici dei collegamenti più facilmente i consumatori. E, in terzo luogo, i dispositivi mobili e servizi elettronici rendono l’uso dei beni comuni e servizi più convenienti. L’economia della condivisione può assumere una varietà di forme, tra cui l’uso delle tecnologie dell’informazione per fornire agli individui, aziende, organizzazioni non-profit e dei governi con le informazioni che permettono l’ottimizzazione delle risorse attraverso la ridistribuzione, la condivisione e il riutilizzo della capacità in eccesso di beni e servizi. Il consumo collaborativo come fenomeno è una classe di accordi economici in cui i partecipanti condividono l’accesso ai prodotti o servizi, piuttosto che avere la proprietà individuale. Il modello di consumo collaborativo è utilizzato in mercati online, come eBay, nonché per i settori emergenti, come prestito sociale, peer-to-peer di alloggio, peer-to-peer esperienze di viaggio, peer-to-peer assegnazioni di attività o di viaggio consulenza, car sharing o pendolari mezzi pubblici di trasporto condivisione. Scambio di merci e servizi è stato prevalentemente un dominio di modelli basati sul mercato e questi modelli si concentrano sul trasferimento della proprietà delle risorse economiche tra le due parti. A seconda del coinvolgimento di denaro, sia il modello di mercato tradizionale, in cui due attori si scambiano la proprietà di un bene o servizio per il denaro o regali, dove una buona viene donato ad un altro attore senza soldi coinvolti nel processo di transazione, possono essere differenziati. Dal punto di vista microeconomico, l’economia della condivisione è parte della discussione in varie discipline. Ad esempio, il marketing analizza la rilevanza dei marchi che sembrano diventare meno rilevante se i consumatori sono in grado di accedere, per esempio, diverse vetture di diversi fornitori. Questa prospettiva è parte della ricerca in economia aziendale che individua nuove strategie per l’economia della condivisione sia per gli operatori storici e start-up. L’economia di condivisione comprende una vasta gamma di strutture anche per fini di lucro, senza scopo di lucro, baratto e strutture cooperative. L’economia della condivisione fornisce un accesso esteso a prodotti, servizi e talento al di là di 1-1 o di proprietà singolare , a volte indicato come rinnegamento. Società, governi e individui in tutto attivamente partecipano in qualità di acquirenti, i venditori, i creditori o debitori di queste strutture organizzative diverse e in continua evoluzione. Questa trasversalità si vedrà a Sharitaly quando correranno in parallelo le tre sessioni sulle esperienze maturate nelle imprese, nello stato e nel terzo settore. La domanda chiave dovrebbe quindi essere non tanto o non solo dove si trova la sharing economy e chi la fa, ma piuttosto di capire qual è il potenziale trasformativo del modello sharing economy nel complesso. Quali sono le condizioni per le quali questa, che dopotutto è anche parte del movimento dell’innovazione sociale, può avere un impatto sociale positivo? Come possiamo sostenere la continua nascita di un vasto numero di innovazioni su piccola scala che mostreranno le alternative ai modelli esistenti e, senza doverli sostituire del tutto, ci permetteranno di cogliere a pieno i benefici sociali della tecnologia e della collaborazione in rete? La velocità di diffusione della sharing economy, delle tecnologie che la abilitano, e l’appeal del suo messaggio fanno pensare che le sperimentazioni concrete non mancheranno. Il punto cruciale diventerà quindi l’impatto. L’innovazione, si sa, non è sempre buona per definizione, così come non lo è la tecnologia. La tecnologia e i modelli di funzionamento alla base della sharing economy hanno grande potenziale positivo, ma hanno già permesso e certamente continueranno a permettere anche la nascita di sistemi predatori, in cui la tecnologia è usata per efficientare sistemi di sfruttamento, di disgregazione e di alienazione, invece che di coesione e sviluppo inclusivo. Diventerà cruciale, accanto a un approccio valoriale e normativo, che i soggetti che hanno a cuore uno sviluppo sociale sostenibile si approprino di questo modello, ne esplorino le potenzialità, e lo traducano in maggiori opportunità sociali per tutti. Se ne parlerà anche con il terzo settore, che porterà il suo punto di vista e le sue esperienze per una sharing economy dai fini sociali e dall’impatto trasformativo positivo. Ora, bisogna mettere a confronto due concezioni contrapposte del progresso umano. Quella dell’utopia massimalista, che nel bene e nel male ha dominato il secolo scorso, e quella minimalista, che parte dall’intimità del singolo. La prima corrisponde soprattutto alla rivoluzione collettiva, la seconda a un rafforzamento della ricerca interiore che è la principale ricchezza delle nuove generazioni, in parte coincidente con l’idea di individuazione. Un processo che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale, il che non significa contrapporre la propria individualità agli obblighi collettivi, altrimenti in Italia almeno il tasso di individuazione sarebbe già alle stelle, ma un’intima valorizzazione della propria natura di singolo essere umano. Ovvero, quello delle regole della comunità. Una utopia minimalista dovrebbe favorire novità interiori all’uomo, valorizzando doti umane che sono già in lui. La realtà di oggi, l’unica con la quale possiamo fare i conti ci parla di una società sgretolata e atomizzata. Per ripartire con la visione di un progetto sociale positivo devono, probabilmente, essere infatti prima portati a compimenti singoli processi di individuazione. Proprio liberando il territorio interiore avremo compiuto la più importante preparazione per una società più giusta, meno violenta, e più sostenibile. L’utopia è un bisogno primario dell’animo umano e questo fenomeno sembra sublimarsi nella voglia di comunità autonome, quelle della coltura bio, dell’autoproduzione, energetica e agricola, del riuso, magari della raccolta differenziata e stop. Un tentativo nobile ma anche un vicolo cieco, un fenomeno che è forse individuazione ma che non potrà sbocciare in un respiro politico che abbracci la totalità della società. Senza organizzarsi insieme, la somma di tante buone volontà porta poco lontano. La strada da poter seguire con profitto pare piuttosto un’altra. Cercar di conoscere meglio se stessi nel tempo finirà coll’essere anche per la società contributo importante. Ma per quanto il punto di vista psicologico si diffonda, è realistico pensare che la maggiore parte dei cittadini sia completamente impreparata allo sviluppo dell’introspezione e dell’autocritica. Probabilmente, il tema dei progressi si dovrebbe far conoscere come un fatto decisivo che sfugge al cittadino comune. Non solo la soddisfazione interiore, ma anche lo status sociale dipende fortemente dallo sviluppo psicologico ed è tempo di chiedersi se tutti quelli che a prima vista sono perdenti siano veramente tali…