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L’AVARO DI PLAUTO

DiPaul Polidori

Mar 1, 2024

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CIADD NEWS 24... in diretta RADIO e TV

Da venerdì 8 a domenica 10 marzo, Gigi Savoia e Francesca Bianco saranno
protagonisti sul palco del Teatro Ciak di Roma de L’AVARO DI PLAUTO, versione di
Roberto Lerici da Aulularia di Plauto. Con loro in scena Fabrizio Bordignon,
Francesca Buttarazzi, Giuseppe Cattani, Germano Rubbi, Alessandra Santilli,
Susy Sergiacomo, Roberto Tesconi e Tonino Tosto. Regia di Carlo Emilio Lerici.
“Questo Avaro – si legge dalle note di Roberto Lerici – è ricostruito liberamente
sull’Aulularia di Plauto, ovvero la “pignatta” o la “pentola”, scritto forse nel II secolo
A.C., famoso per essere servito da base per “l’avaro” di Moliére. È un uomo che si è
ammalato per un possesso improvviso, quindi quello che conta per lui è il possesso e
non l’oggetto del possesso. Da qui la spinta ossessiva a nasconderlo per non
consumare il capitale ideale della propria infelice sicurezza. Intorno a questo nucleo
quasi astratto, nascono i rapporti reali del quotidiano. Figli, amici, amanti, servi, ovvero
vecchi, giovani, anziani che di fronte alla malattia del protagonista devono vivere
controcorrente. Dunque l’avaro nel nostro caso è un “uomo” proprio in quanto malato, e
non un caso patologico per meschina propensione. Perciò il comico di questo avaro è
sempre sull’orlo del dramma. Al di la del riso c’è sempre un uomo che soffre per la
propria condizione”.
Scene e costumi di Annalisa Di Piero. Musiche Francesco Verdinelli.

LA TRAMA
Il vecchio Catenaccio ha scoperto sotto terra nella sua abitazione una pentola piena
d’oro e vive nel costante terrore che gli venga sottratta. Anche quando il suo ricco
vicino Cicorione viene a chiedergli in sposa sua figlia Lucia, Catenaccio sospetta che si
tratti di una manovra per scoprire il suo oro; alla fine però accetta, precisando che
Cicorione prenderà Lucia senza dote e pagherà tutte le spese del matrimonio, previsto
per il giorno stesso. Catenaccio non sa che sua figlia è rimasta incinta di Lupetto,
nipote di Cicorione, e che lui vorrebbe sposarla. Intanto è arrivato il cuoco chiamato per
cucinare il banchetto nuziale, e Catenaccio sentendolo più volte pronunciare la parola
“pentola”, pensa che sia un ladro e lo malmena. Per sicurezza, però, Catenaccio
sposta la pentola nel tempio della dea Fede. Saetta, servo di Cicorione, vede
Catenaccio nascondere la pentola e fa per prenderla, ma prima che possa farlo
Catenaccio la sposta nel bosco sacro al dio Silvano; questa volta il servo gliela ruba e
la nasconde in casa di Cicorione. Lupetto intanto, ha spiegato a suo zio la situazione
ed ha ottenuto il consenso a chiedere in sposa Lucia. Quando va a parlare con
Catenaccio, tuttavia, il vecchio è disperato perché si è accorto della sparizione della
pentola, e tempesta di domande Lupetto, il quale pensa che il vecchio stia parlando di
sua figlia e della sua gravidanza. Saetta, poi, offre la pentola a Lupetto, cercando di
comprarsi la libertà; qui il testo plautino si interrompe bruscamente…

NOTA DI ROBERTO LERICI
Questo Avaro, in sintesi, è un uomo che si è ammalato per un possesso improvviso,
quindi quello che conta per lui è il possesso e non l’oggetto del possesso. Da qui la
spinta ossessiva a nasconderlo per non consumare il capitale ideale della propria
infelice sicurezza. Intorno a questo nucleo quasi astratto, nascono i rapporti reali del
quotidiano. Figli, amici, amanti, servi, ovvero vecchi, giovani, anziani che di fronte alla
malattia del protagonista devono vivere controcorrente. Dunque l’avaro nel nostro caso
è un “uomo” proprio in quanto malato, e non un caso patologico per meschina
propensione. Perciò il comico di questo avaro è sempre sull’orlo del dramma. Al di la
del riso c’è sempre un uomo che soffre per la propria condizione.
Questo Avaro è ricostruito liberamente sull’Aulularia di Plauto, ovvero la “pignatta” o la
“pentola”, scritto forse nel II secolo A.C., famoso per essere servito da base per
“l’avaro” di Moliére.
Il testo originale latino, come è noto, manca del quinto atto, quindi dell’intero
scioglimento e della conclusione. Dai cinque versi rimasti del quinto atto, si può intuire
che alla fine il protagonista cede il tesoro perché sua figlia abbia la dote. I personaggi
intorno all’avaro sono in alcuni casi inesistenti. Basti pensare che sua figlia Lucia dice
in tutto una sola battuta pur essendo, come il suo ragazzo Lupo che appare solo al
quarto atto, un personaggio centrale. Pare che alcune scene iniziali, che vedevano loro
due in azione, siano andate perdute. In altre parole si può dire che a parte quattro o
cinque scene magistrali, il resto sembra una traccia, un canovaccio da ricostruire in
palcoscenico. Per tutte queste ragioni ho liberamente ricostruito quello che secondo me
mancava, e ho scritto intere scene nuove, ampliando personaggi e inventando
situazioni. Ho usato anch’io il doppio gioco plautino di fingere il mondo greco per
parlare invece apertamente del mondo romano. Ho usato frammenti, modi, esperienze
di costume traendole da Menandro o da altre commedie di Plauto stesso o da reperti di
altre sue commedie andate perdute. Anche nelle parti inventate ho cercato di
mantenere lo spirito d’epoca, senza tentare inutili o massicci aggiornamenti secondo lo
stile in uso attualmente per Plauto. Ho innestato qualche verso di Catullo, pur sapendo
che è fuori epoca, ma trattandosi di un inno nuziale si presume desunto da un rituale
più antico. Ho mantenuto i versi ritmici e le rime per assecondare alcuni “cantica” del
testo, e in linea di massima ho cercato di mantenere anche una certa violenza verbale,
una grevità plebea inevitabile se si vuole dare un’idea anche lontana di come fosse
recepito dal pubblico di allora. Bestemmie e parolacce continue testimoniano di
abitudini aperti non ancora assorbite dalla realtà della città.
Diciamo infine che questo testo è stato molto rielaborato, ma rispetto all’originale
crediamo giusto averlo fatto. Aulularia come ci è rimasta può essere rappresentata solo
in latino, come reperto danneggiato dal tempo.

TEATRO CIAK
Via Cassia, 692 – 00189 Roma
www.teatrociakroma.it
info@teatrociakroma.it
Per info e prenotazioni 06.33249268

Orario spettacoli

venerdi e sabato ore 21.00 – Domenica ore 17.30

Prezzo biglietti:

Intero € 28,00 – Ridotto € 25,00 (under 20, over 65, gruppi 10+ e

disabili)

Ufficio Stampa: Alessia Ecora, 338.7675511 –

alessia.ecora@gmail.com ufficiostampa.teatrociakroma@gmail.com

Da venerdì 8 a domenica 10 marzo, Gigi Savoia e Francesca Bianco saranno
protagonisti sul palco del Teatro Ciak di Roma de L’AVARO DI PLAUTO, versione di
Roberto Lerici da Aulularia di Plauto. Con loro in scena Fabrizio Bordignon,
Francesca Buttarazzi, Giuseppe Cattani, Germano Rubbi, Alessandra Santilli,
Susy Sergiacomo, Roberto Tesconi e Tonino Tosto. Regia di Carlo Emilio Lerici.
“Questo Avaro – si legge dalle note di Roberto Lerici – è ricostruito liberamente
sull’Aulularia di Plauto, ovvero la “pignatta” o la “pentola”, scritto forse nel II secolo
A.C., famoso per essere servito da base per “l’avaro” di Moliére. È un uomo che si è
ammalato per un possesso improvviso, quindi quello che conta per lui è il possesso e
non l’oggetto del possesso. Da qui la spinta ossessiva a nasconderlo per non
consumare il capitale ideale della propria infelice sicurezza. Intorno a questo nucleo
quasi astratto, nascono i rapporti reali del quotidiano. Figli, amici, amanti, servi, ovvero
vecchi, giovani, anziani che di fronte alla malattia del protagonista devono vivere
controcorrente. Dunque l’avaro nel nostro caso è un “uomo” proprio in quanto malato, e
non un caso patologico per meschina propensione. Perciò il comico di questo avaro è
sempre sull’orlo del dramma. Al di la del riso c’è sempre un uomo che soffre per la
propria condizione”.
Scene e costumi di Annalisa Di Piero. Musiche Francesco Verdinelli.

LA TRAMA
Il vecchio Catenaccio ha scoperto sotto terra nella sua abitazione una pentola piena
d’oro e vive nel costante terrore che gli venga sottratta. Anche quando il suo ricco
vicino Cicorione viene a chiedergli in sposa sua figlia Lucia, Catenaccio sospetta che si
tratti di una manovra per scoprire il suo oro; alla fine però accetta, precisando che
Cicorione prenderà Lucia senza dote e pagherà tutte le spese del matrimonio, previsto
per il giorno stesso. Catenaccio non sa che sua figlia è rimasta incinta di Lupetto,
nipote di Cicorione, e che lui vorrebbe sposarla. Intanto è arrivato il cuoco chiamato per
cucinare il banchetto nuziale, e Catenaccio sentendolo più volte pronunciare la parola
“pentola”, pensa che sia un ladro e lo malmena. Per sicurezza, però, Catenaccio
sposta la pentola nel tempio della dea Fede. Saetta, servo di Cicorione, vede
Catenaccio nascondere la pentola e fa per prenderla, ma prima che possa farlo
Catenaccio la sposta nel bosco sacro al dio Silvano; questa volta il servo gliela ruba e
la nasconde in casa di Cicorione. Lupetto intanto, ha spiegato a suo zio la situazione
ed ha ottenuto il consenso a chiedere in sposa Lucia. Quando va a parlare con
Catenaccio, tuttavia, il vecchio è disperato perché si è accorto della sparizione della
pentola, e tempesta di domande Lupetto, il quale pensa che il vecchio stia parlando di
sua figlia e della sua gravidanza. Saetta, poi, offre la pentola a Lupetto, cercando di
comprarsi la libertà; qui il testo plautino si interrompe bruscamente…

NOTA DI ROBERTO LERICI
Questo Avaro, in sintesi, è un uomo che si è ammalato per un possesso improvviso,
quindi quello che conta per lui è il possesso e non l’oggetto del possesso. Da qui la
spinta ossessiva a nasconderlo per non consumare il capitale ideale della propria
infelice sicurezza. Intorno a questo nucleo quasi astratto, nascono i rapporti reali del
quotidiano. Figli, amici, amanti, servi, ovvero vecchi, giovani, anziani che di fronte alla
malattia del protagonista devono vivere controcorrente. Dunque l’avaro nel nostro caso
è un “uomo” proprio in quanto malato, e non un caso patologico per meschina
propensione. Perciò il comico di questo avaro è sempre sull’orlo del dramma. Al di la
del riso c’è sempre un uomo che soffre per la propria condizione.
Questo Avaro è ricostruito liberamente sull’Aulularia di Plauto, ovvero la “pignatta” o la
“pentola”, scritto forse nel II secolo A.C., famoso per essere servito da base per
“l’avaro” di Moliére.
Il testo originale latino, come è noto, manca del quinto atto, quindi dell’intero
scioglimento e della conclusione. Dai cinque versi rimasti del quinto atto, si può intuire
che alla fine il protagonista cede il tesoro perché sua figlia abbia la dote. I personaggi
intorno all’avaro sono in alcuni casi inesistenti. Basti pensare che sua figlia Lucia dice
in tutto una sola battuta pur essendo, come il suo ragazzo Lupo che appare solo al
quarto atto, un personaggio centrale. Pare che alcune scene iniziali, che vedevano loro
due in azione, siano andate perdute. In altre parole si può dire che a parte quattro o
cinque scene magistrali, il resto sembra una traccia, un canovaccio da ricostruire in
palcoscenico. Per tutte queste ragioni ho liberamente ricostruito quello che secondo me
mancava, e ho scritto intere scene nuove, ampliando personaggi e inventando
situazioni. Ho usato anch’io il doppio gioco plautino di fingere il mondo greco per
parlare invece apertamente del mondo romano. Ho usato frammenti, modi, esperienze
di costume traendole da Menandro o da altre commedie di Plauto stesso o da reperti di
altre sue commedie andate perdute. Anche nelle parti inventate ho cercato di
mantenere lo spirito d’epoca, senza tentare inutili o massicci aggiornamenti secondo lo
stile in uso attualmente per Plauto. Ho innestato qualche verso di Catullo, pur sapendo
che è fuori epoca, ma trattandosi di un inno nuziale si presume desunto da un rituale
più antico. Ho mantenuto i versi ritmici e le rime per assecondare alcuni “cantica” del
testo, e in linea di massima ho cercato di mantenere anche una certa violenza verbale,
una grevità plebea inevitabile se si vuole dare un’idea anche lontana di come fosse
recepito dal pubblico di allora. Bestemmie e parolacce continue testimoniano di
abitudini aperti non ancora assorbite dalla realtà della città.
Diciamo infine che questo testo è stato molto rielaborato, ma rispetto all’originale
crediamo giusto averlo fatto. Aulularia come ci è rimasta può essere rappresentata solo
in latino, come reperto danneggiato dal tempo.

TEATRO CIAK
Via Cassia, 692 – 00189 Roma
www.teatrociakroma.it
info@teatrociakroma.it
Per info e prenotazioni 06.33249268

Orario spettacoli

venerdi e sabato ore 21.00 – Domenica ore 17.30

Prezzo biglietti:

Intero € 28,00 – Ridotto € 25,00 (under 20, over 65, gruppi 10+ e

disabili)

Ufficio Stampa: Alessia Ecora, 338.7675511 –

alessia.ecora@gmail.com ufficiostampa.teatrociakroma@gmail.com

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Dir. artistica Emanuela Petroni
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