CLICCA QUI PER PARTECIPARE AL CASTING
CIADD NEWS 24... in diretta RADIO e TV
DON TOTO’
Erano gli anni del dopoguerra, anni difficili nei quali si cercava di ricostruire
quello che era stato distrutto, la gente con fatica cercava di ritornare al proprio
lavoro che, a volte, non esisteva più e questo rendeva ancora più difficile la
ripresa della vita normale.
In quei tempi le strade cantavano ed ogni strada era abitata nei bassi e nei primi
piani da famiglie di varia provenienza che avevano in comune una sola cosa di
cui si sarebbero volentieri disfatti : la povertà.
Si viveva per l’essenziale e già riuscire a mangiare due volte al giorno era una
grossa conquista.
In una di queste strade di Caltanissetta, una cittadina al centro della Sicilia,
abitava un maresciallo dei carabinieri con la sua famiglia composta dalla moglie
e dai loro quattro figli: Adriana la più grande aveva 15 anni, Ranieri di 11 anni,
Riccardo di 9 anni e Luciano di 7 anni.
Ci si conosceva gli uni con gli altri e si sapeva tutto di tutti, vi erano degli
agricoltori che si alzavano alle 4 del mattino e partivano in groppa al mulo verso
i campi dove andavano a lavorare per conto dei nobili che ancora conservavano
i loro privilegi ma che il tempo stava inesorabilmente scalzando dalle loro
posizioni.
Le proteste dei contadini ed il progressivo blocco del mercato dello zolfo avevano
reso la loro posizione sempre più grave ed a malapena riuscivano a resistere agli
attacchi sociali che chiedevano a gran voce la riforma agraria per dare finalmente
la terra ai contadini.
La strada era il cuore della vita, la via che ci si ostinava a chiamare quartiere, forse
per tentare, almeno nominalmente, di elevarla socialmente.
I panni venivano stesi con dello spago messo ad anelli su delle canne, mentre nei
primi piani si soleva mettere delle canne legate tra due balconi dirimpettai e la
strada si colorava dei colori dei panni stesi.
Nella strada oltre ad alcuni contadini vi abitavano degli artigiani, dei cantonieri,
cavatori e dei minatori, gli impiegati erano da contarsi sulle dita di una mano.
In quella via il maresciallo godeva di grande rispetto ed ogni volta che passava da
solo o con la sua famiglia veniva ossequiato da tutta la gente della via.
Vi era però un’altra persona anziana sui 50 anni Don Totò che, quando il tempo lo
permetteva, sedeva sempre davanti alla porta di casa sua, abitava in un basso e si
metteva seduto a prendere il sole ed a fumare la sua pipa di terracotta. Vestiva
in modo elegante con abiti di velluto nero o marrone e sempre con una coppola
intonata all’abito ed alla camicia che indossava; la cravatta era sempre nera a
causa della morte di un suo fratello durante la guerra e questo lutto aveva
giurato di portarlo sino a quando fosse vissuto.
Dalla sua casa uscivano sempre dei buoni odori di carne arrostita e di varie
pietanze che sua moglie Apollonia cucinava con grande maestria, nella strada
era l’unica famiglia a non soffrire alcuna privazione.
Nelle altre famiglie la carne si mangiava solo la Domenica, per loro,invece,
sembrava che tutti i giorni fossero Domenica.
Io avevo sette anni e mi chiedevo sempre come mai quell’uomo non lavorando
godesse di un tale benessere e soprattutto come mai tutta la gente della strada
lo rispettasse ed ossequiasse ogni qual volta passavano davanti alla sua casa e,
spesso, andavano da lui per consigliarsi sui loro affari.
Solo mio padre, il maresciallo, non aveva timore di lui ed ai suoi ripetuti saluti,
spesso rispondeva con sufficienza.
Avevo chiesto a mio padre il motivo per cui lui trattava Don Totò in modo
così staccato, mi disse che bisognava stare alla larga da certe persone che non
lavoravano e che avevano tutto, perché non erano persone delle quali ci si
potesse fidare.
Questa spiegazione, nella mia mente di bambino, non mi appagava e dato che,
essendo piccolo, non uscivo da solo, le mie osservazioni sulla strada erano fatte
dal balcone; ogni tanto Don Totò vedendomi mi faceva un cenno di saluto con
la mano ed io , intimidito, rientravo subito a casa.
Un giorno, inaspettatamente,tra lui e me si stabilì un contatto.
Mia madre mi disse che aveva bisogno che io mi recassi dal carbonaio per
andare a prendere del petrolio che era finito, a quei tempi si cucinava con
il primus un fornello a petrolio, mi diede una bottiglia ed un biglietto con
la commessa con su scritto che poi sarebbe passato mio padre a regolare
il conto.
Ero felice perché per la prima volta uscivo da solo, anche se mia madre
continuava a farmi tante raccomandazioni di non fermarmi per strada
e di stare attento alle poche macchine che allora circolavano.
Quel giorno, eravamo in primavera,il sole era particolarmente acceso e molti
panni erano stesi per la strada, Don Totò fumava la sua pipa seduto davanti
alla porta di casa e vedendomi passare mi disse:
– Dove vai giovanotto così di corsa, vieni qui un momento .
Mi avvicinai a lui e con grande impaccio risposi:
– Vado a comprare il petrolio per la mamma Don Totò .
Lo avevo chiamato Don Totò perché così lo sentivo chiamare da tutti.
– Aspetta che ti do delle caramelle di quelle buone e un cioccolatino .
Girò il capo verso la porta e chiamò forte la moglie dicendole:
– Apollonia, portami quelle caramelle speciali ed un cioccolatino di quelli buoni
per questo giovanottino.
La moglie uscì poco dopo, mi guardò e sorridendo mi disse:
– Tieni giovanotto, porgendomi le caramelle ed il cioccolatino, sei simpatico
prendili sono buoni, mio marito li da solo alle persone che gli sono simpatiche,
devi essere contento se sei simpatico a mio marito.
Dopo che mi diede quei dolci rientrò a casa ritornando alle sue faccende.
Don Totò mi guardò sorridendo e mi disse:
– Adesso, Luciano siamo amici e possiamo stringerci la mano come fanno i veri
uomini.
Io stesi la mia mano e strinsi quella sua mano grande e calda.
Sempre sorridendo mi disse che potevo andare ad acquistare il petrolio per mia
madre e di stare attento alla strada.
Corsi subito a sbrigare la commissione affidatami da mia madre e ritornando
a casa non dissi niente a nessuno dell’incontro con Don Totò né tanto meno
dei dolci che lui mi aveva donato.
I giorni scorrevano tranquillamente, era appena trascorsa la festa di Pasqua e
nella via, noi bambini eravamo contenti perché ricevevamo in dono dai vicini
“u panareddu” un dolce tipico pasquale con delle uova sode a forma di paniere.
Don Totò seguitava a ricevere le persone bisognose di consigli e sedendo,come
al solito, fuori per prendere il sole osservava noi bambini che giocavamo per la
strada ed ogni tanto mi guardava e sorrideva.
La Domenica ci veniva data dai nostri genitori “la simanata” quello che oggi
chiamano la paghetta.
Mio padre mi dava 15 lire e ricordo che tutti noi ragazzi con la nostra paghetta
correvamo da Don Gino il biciclettaio, ovvero colui che affittava le biciclette
a 30 lire l’ora e tutti andavamo per affittarne una per mezzora.
Quella Domenica prima che io mi recassi da Don Gino, fui chiamato da Don Totò
che sorridendo mi disse:
– Devi salutarmi a Don Gino e gli devi dire che voglio un trattamento speciale. Hai
capito Luciano?
Risposi di sì e mi affrettai con gli altri compagni di gioco a correre da Don Gino.
Quando arrivammo, lasciai che tutti gli altri affittassero la loro bicicletta con la
quale avrebbero fatto pochi giri al viale che distava appena duecento metri dalla
bottega di Don Gino.
Mi avvicinai a Don Gino e gli riferii il saluto ed il messaggio di Don Totò.
Notai un certo turbamento nei suoi occhi ma fu solo questione di un attimo perché
subito corse nel retrobottega ritornando con una bicicletta nuova e prendendo le
15 lire che io gli porgevo mi disse che potevo girarci per tre ore liberamente.
Corsi subito al viale dove ritrovai i miei compagni che si meravigliavano della
bicicletta nuova che io portavo invidiandomi.
Nel mio intimo ero felice perché cominciavo a provare il piacere del possesso e
la ammirazione che suscita negli altri, ma dentro di me provavo un rimorso per
l’ineguale trattamento che avevano ricevuto i miei compagni, ma prevalse la
voglia di divertirmi e mi risolsi di non pensarci badando solo a divertirmi.
I compagni passata la mezzora cominciarono a sfollare ritornando a consegnare
le loro biciclette da Don Gino e così rimasi da solo a girare con quella bici, ma la
solitudine mi pesava sicchè, dopo mezzora anche io consegnai la mia bella bici a
Don Gino che meravigliato mi chiedeva se c’era qualcosa che non andava e si
dichiarava disposto di darmi un’altra bicicletta per farmi divertire, ma io dissi che
ero contento e questo lo tranquillizzò, mi ricordò di portare i suoi saluti a Don
Totò e gli dissi che lo avrei fatto.
Ritornai nella nostra strada dove ritrovai i compagni che avevano disegnato un
percorso col gesso e giocavano con i tappi al Giro d’Italia e mi aggregai a loro
nella evocazione che facevamo dei fuoriclasse di allora Coppi, Bartali, Magni e
Bobet e ci divertivamo con niente sino all’ora in cui bisognava far rientro alle
nostre case.
Andando a letto quella sera, pensai alla bicicletta a Don Gino e a Don Totò,
erano bastate solo due paroline di quest’ultimo per farmi ottenere un tratta-
mento speciale, la cosa da un lato mi tormentava ma dall’altro mi esaltava
perché ero considerato dai miei amici un fortunato.
Mio padre spesso non rientrava a pranzo a causa delle frequenti battute in cui era
impegnato per la cattura di alcuni briganti della provincia che con le loro ruberie
depredavano spesso le aziende agricole dei nobili con furti di bestiame e
sottrazione di derrate alimentari.
Lui era solito avvisare mia madre delle sue assenze e lei quando le chiedevamo
dove fosse papà ci esortava a pregare per lui perché era impegnato in una
missione difficile a ………. e ci diceva il nome del paese.
Uscendo da casa per andare a scuola spesso venivo chiamato da Don Totò per
salutarmi, mi chiedeva della famiglia di come stessero i miei e fatalmente mi
chiedeva di mio padre ed allora rispondevo che non sarebbe stato a casa perché
era a Mussomeli impegato in una battuta per la cattura di briganti che avevano
rubato 80 capi di bestiame al Barone Ristretta.
Don Totò mi sorrideva e mi dava le solite caramelle poi andandomene lo vedevo
che chiamava Gaetano un abitante della strada che aveva una lambretta e dopo
un loro concitato parlare osservavo Gaetano che partiva a razzo con la lambretta
diretto non so dove per eseguire la commissione di Don Totò.
Giorni dopo a casa seppi da mio padre che le bestie rubate al Barone erano state
misteriosamente restituite e che lo stesso aveva ritirato la denuncia dicendo che
si erano perdute in un vallone.
Una volta, dopo che avevo giocato al giro d’Italia con i miei compagni, Don Totò
mi chiamò e mi disse:
– Ti piace il ciclismo non e vero?
– Si che mi piace.
– Quale corridore ti piace?
-Coppi
– Si vede che sei un ragazzo intelligente e che dentro di te c’è un vero uomo,perché
se tu avessi detto Bartali non saresti stato un uomo, perché devi sapere che Bartali
è un chiacchierone mentre Coppi stà in silenzio e fa i fatti e non le parole,
ricordatelo Luciano che un uomo questo deve essere e non un farfallone che dà
fiato alla bocca senza fare seguire i fatti.
– Adesso vattene a giocare e ricordati sempre quello che ti dico perché è importante
per la tua vita, ma prima di andartene stringimi la mano come fa un vero uomo.
Gli strinsi la mano come mi aveva detto e non potei fare a meno di notare che era
una mano avvolgente nella quale la mia si perdeva e che il calore che sprigionava
era rassicurante per me che ero ancora un bambino.