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CRITICA D’ARTE, CRITICA ARTISTICA: LA STORIA COMPLETA SPIEGATA IN BREVE

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CRITICA D’ARTE, CRITICA ARTISTICA: LA STORIA COMPLETA SPIEGATA IN BREVE

Per critica d’arte si intende comunemente la riflessione dei critici d’arte più autorevoli, come oggi Vittorio Sgarbi, Paolo Battaglia La Terra Borgese (in foto), Achille Bonito Oliva, Paolo Levi

critico-d-arte-paolo-battaglia-la-terra-borgesePer critica d’arte si intende comunemente la riflessione dei critici d’arte più autorevoli, come oggi Vittorio Sgarbi, Paolo Battaglia La Terra Borgese (in foto), Achille Bonito Oliva, Paolo Levi sull’opera dell’artista per determinarne il valore assoluto, l’individualità fantastica e per stabilire i motivi storici, pratici e contingenti, quando essa non assurge a valore, d’arte. Comunque l’esigenza della autonomia dell’arte come espressione o linguaggio degli artisti, distinta dalle altre attività dello spirito è conquista moderna: nelle epoche precedenti l’arte fu limitata da pregiudizi che la subordinarono a fattori estranei alla sua natura. Essa fu ritenuta ad es.: imitazione della natura, legata alla verisimiglianza, per cui spesso arte e abilità tecnica coincisero; espressione pedagogica e moralistica, con conseguente scala di valori di contenuto (teoria dei generi e dei sottogeneri); edonistica riproduzione del bello fisico in forma sensuale; idea del bello astratto, che alcuni popoli ebbero la fortuna di attingere, da cui il concetto parabolico dell’arte e la persuasione di irrimediabile decadimento di determinati periodi. Questi pregiudizi portarono logicamente all’esclusione e al rigetto di interi periodi artistici che non potevano essere compresi in sì rigide determinazioni. Mancò cioè agli antichi il concetto di sviluppo storico e di libertà autonoma dell’opera d’arte ed essi non compresero mai la pienezza espressiva delle singole opere d’arte. Il mondo greco infatti fu dominato dalla teoria dell’arte come imitazione della natura, di cui i due più grandi filosofi greci, Platone e Aristotile, gettarono le basi, il primo negando l’arte proprio perché imitazione di una natura già imperfetta, il secondo ammettendola come rappresentazione del verisimile idealizzato nei tipi delle cose; a tali teorie si aggiunsero concezioni edonistico-pedagogiche, che accentuarono il carattere intellettualistico dell’arte in età classica. Ci rimangono tuttavia trattati tecnici, come il «Canone» di Policleto (V sec. a. C.), biografie d’artisti e descrizioni letterarie di opere d’arte nelle quali appaiono talvolta acute osservazioni critiche. Biografie di Duride Samio (IV sec. a. C.), di Senocrate di Sicione (III a. C.), descrizioni di Luciano di Samosata (II d. C.), di Pausania (II d. C.) e di Filostrato (III d. C.). A Roma si ripetono senza sostanziale originalità i motivi teorici greci con accentuazione del carattere pedagogico. Vitruvio (I sec. a. C.) nel «De architectura» considera l’euritmia come valore estetico dei monumenti derivando il termine dei Greci. Plinio il Vecchio nel 37° libro della «Naturalis Historia» riprende il concetto dell’arte come imitazione della natura e traccia un profilo di biografie artistiche di notevole interesse. Anche filosofi e letterati ribadiscono, senza approfondire, simili concezioni (Cicerone, Quintiliano, Plinio il Giovane ecc.).

Il Medioevo, pur accettando la concezione intellettualistica dell’età classica, per influsso del neoplatonismo di Plotino (il bello è la partecipazione del pensiero che discende dal divino) trasporta esigenze razionali anche nel processo mistico, poiché ogni attività umana è intesa in servizio di Dio, in una universale spiritualizzazione. Perciò la concezione dell’arte si fa più libera da limitazioni di carattere naturalistico e sostituisce alla forma e al disegno, cari al classicismo, l’esaltazione del colore e della linea in tutti i suoi aspetti; ma l’arte è sempre intesa come mezzo educativo e pratico. Spunti e sporadiche annotazioni di critica d’arte si trovano in S. Agostino (sec. IV) e in S. Tommaso (sec. XIII). Tuttavia nessuna opera sistematica appare in questo periodo; solo ricettari (Teofilo sec. XII), enciclopedie e trattati di ottica (Witelo sec. XII), e tecnici (Vìllard de Honnecourt sec. XIII). Col sec. XIV appaiono chiari segni di una concezione dell’arte rinnovantesi: Cennino Cennini in un suo trattato tecnico della pittura, il «Libro dell’arte», riporta il disegno in onore accanto al colore, in ossequio alla tradizione giottesca. Nel sec. XV L. B. Alberti (Trattati sulla pittura, scultura, architettura) riafferma che l’arte è opera della ragione e di norme scientifiche, quali la prospettiva e si ispira ad una bellezza armonica di tipo naturalistico; la forma e il disegno tornano a prevalere; anche Leonardo nel suo trattato sulla pittura considera l’arte secondo forme tecniche e scientifiche.

Solo nei «Commentari» del Ghiberti appare un tentativo di valutazione critica degli artisti dell’antichità e del periodo gotico di notevole interesse. Nel sec. XVI Giorgio Vasari nelle sue «Vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti» afferma il concetto di un progresso dell’arte risorta con Cimabue e giunta a splendida insuperabile maturità con Michelangelo e destinata quindi a certa decadenza dopo di lui: l’arte inoltre è intesa come disegno e forma: di qui l’affermazione della superiorità dell’arte toscana. A tale affermazione i difensori del colorismo veneziano, P. Aretino, L. Dolce, P. Pino insorgono con minor rigore normativo ma con vigoroso senso della validità della pittura di colore; essi sostengono il diritto di affrancamento dall’ordine razionale del disegno toscano e rigettano ogni proporzione astratta. Nei loro trattati di architettura Serlio, Palladio, Vignola tornano alla concezione di Vitruvio, con scopi pratici ben dichiarati. Si sviluppa inoltre nel sec. XVI la concezione pseudocritica dei manieristi, che propugnano l’imitazione dei motivi tecnici dei grandi maestri del secolo; G. P. Lomazzo, ad esempio, formula un programma di vigilato eclettismo, che sarà poi teorizzato all’inizio del sec. XVII dall’Accademia degli Incamminati di Bologna con i fratelli Carracci, la cui importanza storica è grande per la comprensione dell’accademismo e dell’eclettismo dei sec. XVII e XVIII. Nella loro scia si muovono i biografi secenteschi d’artisti come il Passeri, lo Scannelli, lo Scaramuccia ecc.: sulle orme del Vasari muove invece F. Baldinucci. Contro la concezione Vasariana nelle sue «Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni» insorge G. P. Bellori, assertore dell’imitazione dell’antichità classica e precursore del neoclassicismo: egli giudica Raffaello unico erede del verbo classico nel sec. XVI; esalta Poussin come il miglior pittore del suo tempo, ignora Caravaggio. In Francia tal principio classicistico è sostenuto dal Felibien e dal Le Brun, teorici dell’Accademia di Francia. Anche il moralismo cattolico della Controriforma ha i suoi teorici (ad es. i Card. Paleotti e Borromeo). Reagiscono alle pastoie accademiche il veneziano M. Boschini e il francese R. De Piles esaltando il colore contro la forma e i moderni contro gli antichi; la polemica sfocia in Francia nella famosa querelle des Anciens et des Modernes. Il sec. XVIII vede per la prima volta affermata l’autonomia dell’arte in una nuova scienza; l’estetica ad opera del tedesco Baumgarten; in Italia G. B. Vico afferma l’essenza dell’arte come fantasia; in Francia il Diderot esalta il sentimento come espressione dell’arte in saggi e nelle recensioni dei Salons in cui egli esprime una critica spigliata e geniale anche se un po’ superficiale. Le idee accademiche del secolo precedente continuano invece in Italia nel Ciocchi nel Bottari nell’Algarotti e finiscono nell’imponente storia pittorica del Lanzi in cui tuttavia è un serio tentativo di cogliere l’individualità degli artisti. Le teorie veneziane del 600 sono riprese dallo Zanetti. In Inghilterra infine lo Hogarth e il Reynolds difendono l’arte contemporanea con misura britannica contro il Neoclassicismo trionfante. Il Neoclassicismo infatti, già apparso all’inizio del secolo nel pensiero dell’inglese Shaftesbury, trova alla metà del secolo i suoi teorici in due Tedeschi, il pittore Mengs e l’archeologo Winkelmann. Il Mengs propugna una bellezza assoluta e trascendente manifestantesi nella forma circolare e nell’uniformità del colore, il Winkelmann afferma la bellezza come ideale neoplatonico e la realizzazione di esso trova nella calma euritmia delle statue classiche; perciò essi oppongono una critica delle forme astratte e dell’arte universale all’indagine concreta di individualità artistiche. Dal Winkelmann derivano il Milizia, il Seroux d’Agincourt, autore della prima storia universale dell’arte, il Cicognara ecc. Il Lessing chiude il secolo con il suo “Laocoonte”, affermando il concetto della bellezza in senso fisico come proporzione corporea, di cui modello è il Laocoonte classico.

Il sec. XIX eredita i problemi e i motivi non sviluppati del ‘700 e in reazione polemica col Neoclassicismo esalta l’irrazionalità dell’arte medievale e l’imitazione di essa con i movimenti dei Preraffaelliti in Inghilterra (Rossetti, Hunt, Millais) e dei Nazareni e Puristi in Germania e in Italia (Overbeck, Minardi, Tenerani) la cui importanza storica è notevole, anche se artisticamente essi segnano un fallimento. Teorici di tali tendenze sono il WalPole il Langley, lo Hurd in Inghilterra, J. J. Heinse, H. Fussli e W. Wackenroder in Germania, A. Rio e E. Viollet-le-Duc in Francia: fra essi si segnala l’inglese J. Ruskin che concepisce l’arte come comunione mistica con la natura, come estasi, con geniali giudizi sull’arte medievale. Questi teorici sono solo in parte influenzati dal grande pensiero idealista che, movendo dalle premesse di Kant, con Schelling concepisce l’arte come espressione dell’infinito nel finito e con Hegel l’arte come grado dello spirito assoluto in cui l’idea si manifesta sensibilmente nell’individuo. La feconda concezione idealistica non trova eco nella critica militante, che per lo più persegue intenti accademici, ma essa appare nella critica di artisti e letterati che difendono polemicamente la libera creatività dell’artista. Esempio tipico ci forniscono le polemiche dei Salons in Francia tra romantici e classici (Planche, Delacroix, Delecluze, Vitet, Lenormant) tra i quali spicca con la sua critica geniale Baudelaire. La polemica si rinnova per il realismo con Thoré, Fromenbin, Champfleury, Chesneau e per l’impressionismo con Duret, Burty, Duranty, Riviere, Geffroy, Zola, etc. e per i movimenti pittorici ulteriori con Huysmans, Laforgue, Feneon, Signac, Denis, Apollinaire, Gleizes, Ozenfant, Lhote etc. La critica ufficiale è dominata invece dalle teorie accademiche e poi dall’angusta teoria positivistica di H. Taine. Anche in Italia la critica più viva è quella dell’ambiente dei Macchiaioli toscani con A. Cecioni, T. Signorini, D. Martelli. Il secolo nella 2a metà vede fiorire per influsso del positivismo l’attività di filologi, archeologi e conoscitori che forniscono preziosissimo materiale d’indagine sulle fonti: Jahn, Brunn, Furtwangler, Milanesi, Frey, Kallab: altri compilano manuali di storia d’arte di singoli periodi con grande erudizione, Wolff, Muller, Pauly e Wissowa, Krauss, Kugler, Blanc, Semper, Kondakoff, Diehl, Muntz, Grimm, Justi, Dvorak; in essi debole è la base critica: emerge tra essi il Buirckhardt con il suo “Cicerone” per un’innata vivacità di giudizio. Più importanti i conoscitori; Rumohr, Passavant, Bode, Cavalcaselle, Morelli e con basi più solidamente critiche A. Venturi e B. Berenson nel sec. XX e l’americano Kingsley-Porter. In questi ultimi appare chiara la reazione al positivismo e l’influsso della teoria della pura visibilità. Essa sorge in Germania ad opera dello scultore Hildebrand, del pittore von Marees e del filosofo Fiedler: arte è ciò che è visibile; linea, spazio, forma, colore etc. sono gli elementi che permettono il giudizio dell’opera d’arte; la teoria viene approfondita dal Wickhoff e dal Riegl; la divulgano H. Woefflin, A. Schmarsow, A. E. Brinckmann, B. Berenson, C. Bell, R. Fry, A. Stokes, J. Mesnil, H. Focillon.

La pura visibilità è superata in Italia dal pensiero di B. Croce, che concepisce l’arte come apprensione fantastica di un momento di vita fissato nella sua individualità ma rimane come base proficua di ricerca in R. Longhi, L. Venturi, M. Marangoni, R. Salvini. La concezione critica crociana ha influenzato profondamente molti critici italiani del sec. XX, da C. L. Ragghianti a S. Bottari, da C. Baroni a G. C. Argan; un influsso profondo ha operato anche sull’austriaco J. von Schlosser. Tuttavia esporre gli aspetti della critica d’arte nel secolo XX è impresa ardua e quasi impossibile sia per le numerosissime personalità di rilievo in Italia e all’estero, sia perché l’evoluzione continua e viva del pensiero in tal campo impedisce di formulare giudizi definitivi. Tuttavia della nobile schiera degli studiosi di arte e di critica di arte in Italia con tendenze e indirizzi diversi ricordiamo senza pretesa alcuna di completezza: F. Wittgens, M. L. Gengaro, E. Tea, A. M. Brizio, G. Nicco Fasola, M. Pittaluga, A. Franchi, A. Banti, J. Toesca tra le donne cultrici d’arte; P. E. Arias, C. Anti, L. Banti, R. Bianchi Balndinelli, A. Della Seta, P. Ducati, S. Ferri, G. Galassi, G. Lugli, A. Maiuri, L. A. Milani, P. Orsi etc. tra coloro che prevalentemente si sono interessati di archeologia e di arte classica; E. Arslan, F. Arcangeli, P. Bargellini, M. Bernardi, A. Bertini, L. Biagi, M. Biancale, F. Bologna, L. Borgese, G. Briganti, E. Carli, G. Castelfranco, E. Cecehi, L. Coletti, V. Costantini, P. D’Ancona, G. De Francovich, G. Dell’Acqua, G. De ,Micheli, A. De Rinaldis, R. Delogu, D. Dorfles, D. Fogolari, V. Golzio, E. Lavagnino, A. Marabbottini, G. Mariacher, V. Mariani, E. Modigliani, A. Morassi, O. Morisani, V. Moschini, U. Nebbia, G. Nicodemi, R. Pane, L. Planiscig, A. J. Rusconi, F. Russoli, M. Salmi, S. Samek-Ludovici, L. Serra, S. Solmi, E. Somarè, F. Zeri, B. Zevi, G. Vigni etc. tra i cultori di arte medievale e moderna. Inoltre gli scambi di concezioni e di idee tra i singoli paesi e la diffusione della conoscenza mediante la riproduzione fotografica delle opere d’arte d’ogni parte del mondo allarga notevolmente le possibilità degli studiosi e dei critici d’arte. Numerosissime sono le riviste d’arte, delle quali alcune hanno carattere di collaborazione internazionale, come il “Burlington Magazine” e la “Gazette des Beaux Arts”, quest’ultima cessa le pubblicazioni nel 2002. In Italia meritano particolare menzione le riviste: “L’Arte” diretta da A. Venturi poi interrotta, “Palladio”, “Bollettino d’arte”, “Arte veneta”, “Commentari”, “Paragone”, “Proporzioni” oggi fondazione, “Sele Arte” (1952-1966) oggi fondazione. Anche cataloghi di gallerie e musei vengono redatti con intendimenti non solo filologici ma anche critici e cintici. Negli studi di carattere filologico si tende ad un maggior rigore normativo, specie in Italia ad opera di P. Toesca, A. Ancona, G. Fiocco, S. Ortolani, R. Pallucchini, S. Bettini, C. Brandi etc.

Mostre vengano periodicamente allestite con intendimento non solo divulgativo ma anche critico; in Italia la Biennale di Venezia offre un esempio cospicuo in tal senso attraverso i suoi valorosi rappresentanti storici, da R. Pallucchini a U. Apollonio, da L. Venturi a G. Marchiori, da C. G. Argan a M. Valsecchi. Carattere più limitato ha la critica dei quotidiani, poiché essa indulge troppo spesso alle tendenze e al gusto medio di lettori non preparati. Il secolo XX ha visto ancora fiorire la critica d’arte espressa dagli artisti stessi, come avviene ad esempio per C. Carrà e A. Soffici in Italia, per Le Corbusier in Francia e per H. Moore in Inghilterra.

Problemi aperti di indagine critica sono ancora oggi: le tendenze critiche sociali e marxistiche, la metodologia americana, la critica esistenzialistica, la critica neo-positivista etc. su cui i giudizi sono ancora molto contrastanti; e per quanto concerne dalla seconda metà del XX secolo le esperienze artistiche non hanno più confini concettuali e di realizzazione, e più che mai la critica d’arte assume fondamentale importanza nella società:  la Treccani recita  che “L’alto grado di specializzazione e il sempre maggior peso culturale della critica d’arte nella seconda metà del secolo scorso e specialmente nel nostro dimostrano che essa risponde a una necessità obiettiva e non può considerarsi un’attività secondaria o ausiliaria rispetto all’arte stessa. È infatti impossibile intendere il senso e la portata dei fatti e dei movimenti artistici contemporanei senza tener conto della letteratura critica che a essi si riferisce”.

Comunque possiamo constatare con soddisfazione che il sec. XXI promette di sviluppare tutte le possibilità della critica d’arte in tutte le direzioni, e ciò anche grazie al contribuo annesso dal critico d’arte Philippe Daverio scomparso il 2 settembre 2020.

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Dir. artistica Emanuela Petroni
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