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LA DANZATRICE CALVA
Carla era una bambina bellissima ed il suo corpo sembrava crescere in funzione di una sola arte la danza.
Sua madre Dora, nella sua giovinezza, aveva studiato danza, poi con il sopraggiungere della seconda guerra mondiale, aveva dovuto abbandonare quel suo grande sogno, ed aveva giurato a se stessa che se avesse avuto una figlia l’avrebbe avviata allo studio della danza.
Quando nacque Carla i suoi occhi splendevano di gioia e già nel suo cuore vedeva i successi della figlia, quei successi che lei non aveva potuto avere e che adesso sarebbero stati anche suoi.
Senza indugio comunicò a suo marito Mario i suoi sogni per quella creatura scesa dal cielo nella loro vita e che con i lineamenti fini sembrava fosse nata solo per danzare.
Il marito annui dicendo che qualcosa avrebbe dovuto fare nella vita e che la danza non lo disturbava affatto, anzi sarebbe stato orgoglioso di avere una figlia danzatrice.
Trascorsero i primi anni ed allo scoccare del quarto anno Dora cominciò subito ad insegnarle i primi rudimenti di quella nobile arte parlandole di tutte le danzatrici passate nella storia da Salomè ai giorni nostri descrivendole le caratteristiche interpretative delle stesse ed il loro animo
mentre danzavano e le diceva: “Vedi Carla, amore mio, molte hanno eccelso solo in talune interpretazioni, ma io voglio per te il top, tu devi eccellere in tutte le tue interpretazioni devi essere una seconda Isadora Duncan, superando tutte le sue interpretazioni, devi amore entrare nella storia della danza.”
Poi la iscrisse nella migliore scuola di danza di Milano e continuo ad informarsi con gli insegnanti sui suoi progressi. Ogni volta rimaneva estasiata dal parere degli insegnanti che pronosticavano per lei una carriera favolosa.
Nel saggio di fine anno lei indossava un bel tutù ed aveva le sue scarpette rosa e fu capace di danzare sulle punte una sonata di Debussy
dando alla stessa , con la sua interpretazione, un respiro veramente unico.
Lei era orgogliosa e cominciò ad iscriverla in varie competizioni dove sempre la sua Carla figurava tra le prime.
Era sicura che lei fosse nata per la danza e che la danza esistesse per lei, un binomio magico nel quale si riconosceva anch’essa perché aveva contribuito a crearlo generando Carla.
Gli anni trascorsero tra lo studio, le esibizioni ed i concorsi sempre con grandi affermazioni di Carla che viveva per la danza e che donava alla danza tutta la sua vita.
Al suo diciottesimo compleanno fu chiamata a fare un provino per il corpo di ballo della Scala, sapeva che questo era un onore grande ed un trampolino importante per proiettarsi nel gotha della danza, il suo sogno era di diventare prima ballerina per poter portare in tutto il mondo il suo amore e la sua bravura per la danza.
Desiderava con tutte le sue forze di riuscire e cominciò a preparare “La morte del cigno “ con tanta cura, studiando ogni passo e cercando il perfezionismo e solo quello, non le importava di faticare in modo immenso, la posta in gioco era importante e lei voleva farcela.
Una mattina, mancavano cinque giorni al provino, curando l’acconciatura si accorse che ciocche intere di capelli le rimanevano nella spazzola e che il suo capo presentava chiazze di cute senza capelli.
Allarmata lo disse alla madre ed insieme consultarono un medico che disse che era affetta da alopecia perniciosa, cosa che la avrebbe, nel tempo, ridotta calva completamente.
La madre, vedendola piangere la rassicurò dicendole che avrebbero superato anche questo ostacolo con l’uso delle parrucche e che bisognava subito darsi da fare per procurarsene una che si intonasse con il brano che doveva eseguire.
Riuscirono a trovare una parrucca rossa che si intonava con le sue fattezze e che le conferiva un’aria sbarazzina.
La indosso subito per familiarizzare con questa parte che sentiva estranea al suo corpo e cominciò a provare il pezzo del provino.
Iniziando si accorse subito di una cosa strana che le stava accadendo, la sua mente era come se fosse pervasa dalle emozioni vissute dall’essere a cui erano appartenuti quei capelli che formavano la parrucca, sentiva che era presa da tutte le sofferenze e dai dolori che quella donna aveva patito e questo si rifletteva in modo straordinario sui suoi passi di danza che esprimevano la passione che lei “sentiva”.
Una gioia immensa la pervase perché capiva che questo era un dono grandioso che rendeva le sue esibizioni irripetibili e straordinarie.
Il provino si svolse in un modo spettacolare perché lei lasciandosi guidare dalla passione trasmessa dai capelli, si limitava ad assecondarla con i suoi passi di danza che contribuivano a creare una scena meravigliosa, tale da entusiasmare lo staff della Scala che elogiandola la scelsero per il corpo di ballo.
La gioia sua e dei suoi genitori era incontenibile, perché si aprivano nuovi orizzonti e tutto lasciava presagire una carriera artistica meravigliosa.
La sera prima di andare a letto il suo pensiero correva a quella sensazione provata con quella parrucca e quasi d’istinto provò ad indossarla di nuovo senza alcuna musica e senza accennare ad alcun passo di danza.
Nel suo intimo sentì l’animo di una signora ancora giovane piena di dolore per la morte del marito e del figlio, ma che malgrado tutto era rimasta ancora attaccata alla vita e questo la consolava.
In cuor suo decise che prima di indossare altre parrucche in scena le avrebbe sempre provate senza alcuna musica e senza alcun passo di danza per “sentire” nel suo profondo l’animo di chi aveva portato veramente quei capelli.
L’unica limitazione che si impose fu quella che a seconda dell’autore e del pezzo da danzare, le parrucche provenissero tutte dalle regioni dove
l’autore era nato.
In una sua esibizione del Bolero di Ravel indossò una parrucca proveniente dalla Andalusia ed i cui capelli erano appartenuti ad una danzatrice di flamenco.
Provandola aveva sentito tutto il ritmo e la passione di quella terra con il temperamento caldo della danzatrice, le sembrava che il sangue di quella danzatrice pulsasse nelle sue vene ed i suoi passi nella danza furono irripetibili, meravigliosi e suscitarono l’ammirazione di tutto il pubblico.
L’amore sembrava che non le interessasse anche perché non vi aveva mai pensato e perché sentiva amore solo per la danza a cui si era votata interamente.
Ormai il successo l’aveva inebriata e godeva di essere diventata la danzatrice che lei aveva sognato di diventare.
Aveva danzato in tanti ruoli ed ogni volta si era inebriata di quel transfer che i capelli le comunicavano e che davano alle sue esibizioni un tocco di magia.
La critica la osannava come la danzatrice del secolo, solo di riflesso le giungevano le recensioni dei giornali sulle sue esibizioni, non amava leggerle.
Quel giorno però fu attratta da un titolo pubblicato sul Corriere della sera che diceva: “Carla danzando si sdoppia !” il pezzo era firmato dal critico Mario Martinelli.
Lo lesse e capì che solo quel critico aveva “sentito” che lei aveva il dono di trascendersi nella sua passione.
La tentazione di conoscerlo era grande, ma aveva paura che quella empatia potesse sfociare in un sentimento più profondo nel quale lei non voleva e non doveva cadere.
Il suo impresario le comunicò che la prossima sua esibizione sarebbe stata alla Scala di Milano con lo Schiaccianoci di Cajkovskij.
Era una musica che aveva sempre amata e temuta, perché nelle sue varie danze che la componevano avrebbe dovuto cambiare tante volte la parrucca e temeva che questo potesse arrecarle danno nella sua mente che “sentiva” profondamente l’essere che in quei momenti le donava la sua vita.
Malgrado questi timori riuscì a reperire le varie parrucche che le necessitavano per la esibizione, per il valzer dei fiori volle che la parrucca fosse confezionata con i capelli di sua madre, pensava che solo lo spirito materno avrebbe potuto rendere bene questo valzer in cui la musica sembrava celebrare il dischiudersi dei fiori al sole della vita e chi meglio di sua madre avrebbe potuto trasfonderle lo spirito della vita se non colei che l’aveva data alla luce.
Nelle prove aveva sentito la sublimità di quelle note ed i suoi passi erano mossi dallo spirito che la possedeva e che sembrava mettere le ali ai suoi piedi che roteavano incalzati dal susseguirsi delle note.
Venne la sera della esibizione e, come al solito, durante la giornata aveva preferito non incontrare nessuno, nemmeno sua madre che aveva solo salutato al telefono promettendole una esibizione memorabile che avrebbe stupito il pubblico e la critica.
Riflettè molto sullo spirito di quel balletto che era una rappresentazione della realtà e del sogno e non potè fare a meno di pensare che rispecchiasse la sua vita con uno sbilanciamento verso il sogno a discapito della realtà che aveva quasi sempre ignorata.
Finalmente era arrivato il momento di andare in scena, lei sapeva che la prima parte del balletto dedicata alla realtà l’avrebbe vissuta con sofferenza senza entusiasmo, perché la sua vita era nel sogno e non vedeva l’ora di librarsi in esso con la sua naturale forza di interpretazione.
La prima parte si svolse,come da lei previsto, senza particolari manifestazioni di entusiasmo del pubblico che sembrava, come lei, essere
Strappato da una realtà che non voleva accettare, ma che anelava solo di arrivare al sogno.
Finalmente lei, indossando le varie parrucche che aveva portato,potè trasmettere al pubblico il suo sogno che era diventato anche il loro sogno e con la danza spagnola iniziò questa osmosi magica che poi proseguì con la danza della Fata Confetto, con la danza russa, con quella araba, con la danza cinese e con quella degli zufoli sino ad arrivare al valzer dei fiori.
In questo valzer come si era proposta indossava la parrucca della madre perché questo era il valzer che esaltava la nascita e la vita che le era stata data dalla madre e che lei aveva vissuto per la danza,
la musica sembrava tinteggiare lo schiudersi dei fiori sotto il sole della vita e lei si rivide in uno di quei fiori dischiusa con i suoi petali sotto il sole caldo che le infondeva un canto nell’anima, il canto della vita.
Pensò che il destino di quei fiori fosse segnato dall’inesorabile trascorrere della vita e che soltanto le gocce della rugiada dell’amore avrebbero reso quella vita degna di essere vissuta.
A lei quella rugiada era totalmente mancata perché aveva pensato di poter superare la realtà della vita, ma adesso aveva compreso che l’amore è per ogni essere la linfa della vita.
Sommersa da tali pensieri cercò disperatamente di aggrapparsi alle note e si concentrò nel “sentire” i capelli della madre che dovevano infonderle il tempo della vita.
Nonostante i suoi ripetuti sforzi di ancorarsi alla musica ed alle sensazioni dei capelli della madre, sentì nel suo intimo che non aveva più le forze per aggrapparsi al suo sogno e che la realtà stava inesorabilmente presentandole il conto della vita.
Sentì un profondo vuoto interiore che progressivamente la rendeva sorda alle note che continuavano a cantare alla vita mentre la sua mente ed il suo cuore denunciavano fortemente la mancanza dell’amore.
Presa in questo vortice assurdo sprofondò in esso e cadde rovinosamente sul palcoscenico, nella caduta la parrucca si staccò denunciando a tutti la sua calvizie, perse i sensi e fu subito trasportata in ospedale dove i medici cercarono con tutte le loro forze di soccorrerla, ma la sua mente si era ottenebrata e non riusciva più ad esprimere pensieri compiuti, vaneggiava ripetendo spesso questa angosciosa domanda: “Dov’è la mia rugiada dell’amore?”. Nessuno osava o sapeva risponderle.
I medici suggerirono di ricoverarla in una struttura di igiene mentale, dove lei per il seguito della sua vita, vegetò, né valsero le continue visite della madre per farle riacquistare quell’equilibrio che lei aveva irrimediabilmente perduto.
Lei aveva capito che era uno dei fiori di quel valzer apertosi al sole della vita ma non bagnato dalla rugiada dell’amore ed il sole della vita impietoso con i suoi raggi lo aveva condotto alla morte.